Il cammino verso il monastero


di Dianella Bardelli

Camminava già da due ore e il paese abbarbicato sulla collina era sempre lì davanti, alla stessa distanza, o almeno a quella distanza che a lui, che camminava già da tanto, sembrava sempre uguale. Si fermò all’ombra di un alberello al margine della stretta strada asfaltata. Ansimava, sudava ed era stanco. Mise a terra lo zaino e tirò fuori la borraccia. Bevve un sorso d’acqua e la rimise al suo posto insieme al resto del suo piccolo bagaglio. Si guardò intorno. Dall’altra parte della strada c’era un pendio assolato; da dove si trovava lui invece si scendeva in un sottobosco ombroso e attraente. Fece qualche passo in discesa verso quella direzione e si sedette sul terreno libero da cespugli e rovi. Intorno il ronzio degli insetti non riusciva ad impedirgli di apprezzare quell’improvvisa frescura dell’ombra frastagliata del bosco. Alberi dalle foglie scure, quasi nere, si alternavano a cespugli spinosi di un verde più chiaro; la terra su cui era seduto era secca e rossa, il bosco lussureggiante e pieno di vita. La maggior parte delle piante sembrava essere stata appena innaffiata, le foglie erano lucenti e fresche, molti erano i nuovi getti. Dove era seduto arrivava un buon odore di arbusti di timo e di altre piante odorose. Si sdraiò per terra usando lo zaino come cuscino. Si sentiva accaldato e sudava abbondantemente. Dopo qualche secondo si rialzò a sedere e si tolse gli scarponcini e le spesse calze di cotone. I piedi surriscaldati dal lungo cammino sembrava respirassero di sollievo e di piacere.
Appoggiò le calze sugli scarponcini, si distese di nuovo e chiuse gli occhi concedendosi qualche minuto di riposo. Avrebbe ripreso il cammino tra poco per raggiungere il monastero prima di notte. Senza aprire gli occhi cercò di interrompere la lamentazione mentale sul caldo, il sudore, la stanchezza, per rimanere semplicemente presente alle sensazioni di quel momento. Si concentrò sul fresco dell’ombra, sulle parti scoperte del suo corpo, il viso, i piedi; piano piano sentiva che la sudorazione sul viso e sulla testa stava diminuendo e che il sudore appena uscito dai pori si asciugava al contatto dell’ombra del sottobosco. Si alzò a sedere per bere e versarsi un po’ d’acqua sulla testa rasata. Rimase qualche secondo col viso e la testa gocciolante d’acqua e poi se li asciugò con un fazzoletto di cotone che estrasse da una delle tasche esterne dello zaino. Si sdraiò di nuovo per riposare ancora. Sapeva che se fosse stato ancora lì per molto si sarebbe addormentato; perciò guardò l’orologio e si concesse ancora un po’ di riposo prima di riprendere il cammino.
Improvvisamente cominciò un fruscio intenso, quasi impetuoso. Sulla collina s’era alzato il vento. Si trovò immerso nel vortice di un unico suono che gli parlava senza dire, lo influenzava senza parole e pervadeva parti sue sconosciute che sapevano di cielo e di mare, di terra e di come la vita si esprime nelle mille trame misteriose che l’attraversano mutevoli e incantatrici.
Dopo qualche minuto l’aria intorno a lui divenne rossa, l’ombra scomparve e fu solo quel sangue che oltrepassava gli arbusti e gli alberi per arrivare fino a lui. Pensò: fosse anche questo rosso la morte che s’annuncia sarebbe perfetto. In poco tempo il rosso divenne cupo, i contorni s’annebbiarono; calava la notte, lenta come fa d’estate. Tra poco la boscaglia sarebbe stata un insieme di figure, di fantasmi, di forme indistinte. Quando tornò sulla strada la luna non era ancora salita, si vedeva poco, tutto intorno era cinereo e senza contorni; era quel tempo che segue il tramonto del sole, laggiù lontano da lui, dietro il mare.
Camminava in salita sul bordo della carreggiata, vicino all’erba bassa che costeggiava la boscaglia ormai quasi invisibile, nera. Era stanco e affamato e il paese sembrava ancora tanto lontano. Un’ora, due di cammino; non sapeva se ce l’avrebbe fatta. Gli passò di fianco un’auto, istintivamente fece cenno di fermarsi a chi l’occupava. Erano quattro ragazzi più o meno della sua età, abbronzati, scalmanati, scamiciati, quasi dei selvaggi; così sembrarono almeno, quando la loro auto gli si fermò di fianco. Uno di loro si gettò con la testa fuori dal finestrino. Che vuoi, fratello? gli chiese una bocca di denti bianchi e labbra grosse screpolate. Un passaggio, se è possibile, rispose lui, fino in paese per favore, e giunse le mani in gesto di preghiera. Come no, sali fratello, che ti portiamo noi, rispose lo stesso ragazzo di prima. Salì sull’auto impacciato dalla tonaca rossa, preoccupato per tutta quella vitalità giovanile a cui non era più abituato, sebbene tanto giovane lui stesso. I ragazzi dell’auto ridevano forte come ubriachi, urlavano e scherzavano tra di loro, bestemmiavano. Cominciarono a fargli delle domande, dove vai, perché sei vestito in quel modo… Stava per chiedere di scendere, ma poi decise di rispondere gentilmente alle loro domande. Sì, sono un monaco, sto studiando da monaco anzi, devo raggiungere un monastero che sta da queste parti, oltre il paese lassù sulla collina, lo conoscete? No, no, non frequentiamo monasteri, rispose il guidatore, ma fino in paese ti possiamo accompagnare, poi ti scarichiamo lì però. Va bene, disse, benissimo, grazie aggiunse, e di nuovo giunse le mani, come gli piaceva tanto fare. Arrivarono nella piazza del paese; era ora di cena ed era vuota e silenziosa; solo l’acqua di una fontanella accompagnava il silenzio. Scese dall’auto dei quattro ragazzi e stava per salutarli e andarsene quando uno di loro gli disse: dove andrai a mangiare? Noi si va in trattoria, prima però andiamo a casa a lavarci e cambiarci. Mi piacerebbe, disse, era piuttosto affamato, ma farei tardi al monastero, lo devo raggiungere entro un’ora decente, non posso arrivare a notte fonda. Grazie lo stesso. Oh, disse il ragazzo con noncuranza, per niente sorpreso dalla risposta, allora noi ti si saluta, ciao dissero tutti gli altri tre. E l’auto corse via attraversando la piazza verso un viottolo buio. Si ritrovò solo in quella piazza con l’unica compagnia della fontana. Decise di procurarsi da mangiare bussando a qualche porta per la questua, come faceva sempre da quando era partito da casa circa un mese prima. Aveva sete ma lo stomaco era troppo vuoto per riempirlo solo di acqua; rimandò di dissetarsi a quando qualche abitante del paese avesse avuto il buon cuore di offrirgli da mangiare. Si mise lo zaino in spalla e si guardò intorno. Si avvicinò alla porta della casa più vicina, non c’era campanello, così bussò. Gli aprì una donna anziana, sembrava avesse una settantina d’anni; ansimava leggermente e lo accolse senza sorridere. Sì, chi siete? chiese guardando l’abito del ragazzo. Mi scusi, signora, disse, e mostrando la ciotola per la questua aggiunse, le è avanzato un po’ di cibo? ha qualcosa da darmi da mangiare? La donna gli guardò di nuovo l’abito e poi gli piantò gli occhi in faccia come a volerne interrogare l’espressione. Ma lui non aveva in viso un’espressione particolare in quel momento. Era semplicemente affamato e chiedeva un po’di cibo. Aspetta, disse la donna e richiuse la porta. Dopo pochi minuti la riaprì. Su un piatto c’erano due fette di pane e un pezzo di formaggio stagionato. Lui avvicinò la sua ciotola al piatto, prese con le mani quello che conteneva e lo mise nella ciotola. Grazie signora per la sua generosità, disse, grazie tante. E giunte le mani indietreggiò per andarsene. La donna senza dir niente richiuse la porta. Lui attraversò la piazza e si mise a sedere su una panchina di legno non lontano dalla fontana. Non c’era nessuno là intorno, qualche finestra si apriva sulla piazza e arrivavano là dove si trovava i suoni di qualche TV accesa. Appena mangiato e bevuto un po’ d’acqua fresca dalla fontana avrebbe ripreso la strada per il monastero. Sarebbe rimasto in ritiro almeno per tre anni, non sarebbe mai uscito dal monastero e quasi mai dalla stanza che gli sarebbe stata assegnata. Avrebbe seguito le indicazioni dei suoi maestri e avrebbe avuto sostegno e aiuto dagli altri monaci…  Quasi ogni giorno durante il viaggio a piedi aveva fatto la questua per il cibo e dormito in parrocchie, fienili, capanni per gli attrezzi quando gli andava bene, o sotto un albero negli altri casi. Si era sempre lavato con l’acqua di torrenti e fontane che aveva incontrato durante il cammino e mai aveva accettato denaro quando gli era stato offerto. Aveva la sua ciotola col coperchio nello zaino che teneva pulita insieme alle posate in un sacchetto di stoffa che aveva trovato in casa sua tra le tovaglie. L’aveva lavato e ci teneva la sua ciotola per la questua e le posate per mangiare. Era partito dalla sua casa di città. Aveva salutato i suoi amici e suo padre.  Il suo cuore era pieno di fiducia e speranza all’idea di quel lungo ritiro.

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