Più volte Sybille si era chiesta se la sua scrittura si fosse alimentata soltanto del suo retaggio. Era naturale che si ponesse quella domanda. La sua vita aveva attraversato un secolo e ora che si avviava al termine con naturalezza, Sybille sentiva il bisogno di capire cosa teneva insieme tutto quel cammino. Le capitava di temere che il senso di ciò che era stata si limitasse alla partenza, mentre il resto le appariva come il prodotto di più casi fortuiti. Qualcosa sfuggiva a Sybille e prima che il sipario calasse, si era imposta di afferrare il filo nascosto che le avrebbe fornito il quadro completo. Sybille aveva le bozze di un libro appena portato a termine sulla scrivania, a breve lo avrebbe rivisto e poi consegnato al suo editore. Con tutta probabilità sarebbe stato l’ultimo, le forze le venivano meno ogni giorno di più e anche tenere in mano una penna o scrivere a macchina le risultava sempre più oneroso. Quelle ultime pagine riguardavano la sua vita, non trasfigurata però in romanzo com’era capitato per gran parte dei libri che aveva scritto in precedenza. No, questa volta Sybille aveva lavorato a una vera e propria autobiografia. I luoghi, i volti, le parole, tutto era stato messo nero su bianco, così com’era accaduto. Rileggendo passi di quel manoscritto, Sybille aveva sfiorato il filo che paziente stava cercando. Le occorreva afferrarlo, aggrapparsi a esso e poi seguirlo fino all’ultimo tratto. Solo allora sarebbe uscita da quel labirinto che era l’esistenza di ognuno, e una volta fuori avrebbe intravisto una luce intensa: il senso autentico di ogni passo che l’aveva condotta fin lì. Dunque, Sybille doveva ricominciare daccapo. Rileggere ogni passaggio, intrufolarsi tra le righe, abitare quel testo con tutta se stessa una volta ancora e tenere ben sveglia la vista della mente. Quel filo le sarebbe prima o poi parso evidente. Quello era il lavoro più difficile, scovare da dove avesse preso il via. Dopo, tutto sarebbe andato per il verso giusto e riannodando quel nastro caotico un poco per volta, Sybille ce l’avrebbe fatta. Fece un sospiro silenzioso e si chinò sui fogli pieni della sua elegante calligrafia. Bene, ora ripartiamo. Così dicendo tra sé, si mise a rileggere ciò che aveva scritto.
Sybille avrebbe desiderato cominciare quella storia come si faceva con le fiabe di un tempo, perché in effetti il principio aveva avuto un che di favoloso. Un castello in Germania agli inizi del Ventesimo secolo, un padre aristocratico che amava l’arte e una madre affascinata da quel lignaggio e da tutto ciò che rappresentava. Un’infanzia ovattata quella di Sybille, protetta dalle turbolenze di un mondo che stava cambiando con troppa rapidità. La prima frattura lo spirito di Sybille lo subisce appena quattordicenne. Suo padre morì e la ragazza andò a vivere presso la madre in Italia, dove la donna risiedeva da tempo dopo essersi separata abbandonando la figlia. Sul momento la vita sembrò scorrere come sempre per Sybille, in fondo lei faceva di tutto per sopprimere la nostalgia dei tempi lieti trascorsi accanto al padre e per non dare peso alla freddezza che sua madre le riservava. Viaggiava spesso da sola, imparava le lingue e leggeva con ardore. Sybille assomigliava troppo al padre, i due sembravano possedere lo stesso carattere forte e riservato, forse per questo i rapporti tra madre e figlia erano così difficili. Sua madre però temeva per la figlia, le notizie che arrivavano dalla Germania la preoccupavano e il regime che vigeva in Italia non le dava meno pensieri. La madre di Sybille era ebrea e ciò che ascoltava ogni giorno la mise in allarme una volta di troppo. Quando il clima politico italiano si fece pericoloso, con l’aiuto del giovane patrigno italiano di Sybille madre e figlia si trasferirono nel sud della Francia. Per qualche tempo lì sarebbero state al sicuro, dopo avrebbero meditato il da farsi. Cominciavano gli anni Trenta, l’ultima quiete prima dell’uragano che avrebbe investito il continente europeo. Sulle coste della Provenza, una giovanissima Sybille conobbe casualmente Aldous. Lui già celebre scrittore inglese la accolse in casa sua e della moglie, presentandole il meglio degli artisti che in fuga dalla Germania nazista transitavano da quelle parti prima di prendere un piroscafo diretto negli Stati Uniti. Soprattutto, Aldous e sua moglie le fornirono una nuova stabilità familiare dopo che il patrigno di Sybille se n’era tornato in Italia, e sua madre per rimediare ai sempre più frequenti attacchi d’ansia si era attaccata alla morfina. La forte coscienza morale di Sybille coincise con la seconda frattura che investì la sua vita. Spinta dalla decisa vena antifascista che animava gli amici di Aldous, Sybille scrisse un articolo di critica spietata nei confronti del regime nazista che opprimeva la terra che era stata il paradiso felice suo e dell’amato padre. Fu pubblicato sulla rivista degli oppositori al nazismo che Klaus, figlio di Thomas Mann, aveva fondato all’estero e della quale era instancabile animatore. Quando l’eco del suo pezzo giunse in Germania, le autorità reagirono confiscando tutti i beni della famiglia di Sybille. Di colpo si ritrovò senza un quattrino e bollata come una pericolosa estremista. Sybille non era più al sicuro, il suo articolo costituiva uno spartiacque preciso nella sua vita fino a quel momento. Scuotendosi dalla lettura di quelle pagine autobiografiche, gli occhi di Sybille presero una luce più accesa e fu come se due fari avessero illuminato all’unisono una burrasca spaventosa rintracciando la piccola imbarcazione che a fatica tentava di toccare un saldo punto di approdo. Ecco il filo che agognava, il suo scritto d’esordio.
La guerra sarebbe scoppiata presto o tardi, occorreva mettere al riparo Sybille dalle rappresaglie a cui l’avrebbero sottoposta i nazisti per via della sua ferma presa di posizione nei loro confronti. Aldous suggerì la fuga negli Stati Uniti, ma prima era necessario che Sybille acquisisse un differente passaporto. Visti i tempi, come cittadina tedesca difficilmente le avrebbero fatto varcare i confini americani e anche se fosse riuscita a mettere piede in quel paese, la possibilità di una estradizione era sempre dietro l’angolo. La soluzione fu avanzata dalla moglie di Aldous. La donna conosceva Walter, un giovane ufficiale dell’esercito inglese che faceva parte della cerchia di un suo caro amico, Wystan – il poeta. Gli avrebbe scritto, e presentandogli il caso con tutta l’urgenza dovuta era certa che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Walter e Sybille si sposarono poco dopo, un matrimonio di convenienza che le avrebbe salvato la vita. Sybille fu grata a Walter e tra i due si instaurò una semplice, onesta amicizia. I due avrebbero divorziato di comune accordo a guerra finita. Ora rimaneva da organizzare la partenza. Aldous, sua moglie e Sybille raggiunsero la California pochi giorni prima che l’esercito tedesco invadesse la Francia. Solo alla fine del conflitto Sybille rivide l’Europa, soltanto allora poté cominciare una nuova vita. Viaggiò di nuovo con intensità, amò con passione, gioì di ogni singolo attimo. Sopra ogni cosa, Sybille scrisse. Le sue origini radicate in un’epoca ormai sbiadita della memoria collettiva erano state la base a lei familiare per cominciare a scrivere. Poi era stata condotta altrove, aveva vissuto altre esistenze in luoghi differenti. Forse tutto era accaduto per pura casualità, tuttavia le parole avevano stretto bene assieme quei motti del destino donando un senso alla vita che aveva vissuto. Alla fine Sybille era stata capace di trovare l’uscita del labirinto, il filo che aveva adocchiato l’aveva portata all’aperto. Le parole erano state la sola dimora nel pieno di una nomade esistenza. La scrittura era la sua casa anche ora, a un passo dalla fine di quel viaggio. Forse, così sarebbe stato anche dopo.
Bello, avvincente, pieno di ‘personaggi’ chiave presentati in modo accattivante e piacevolmente modesto