Verrà un giorno…

di Subhaga Gaetano Failla

Di notte lunghi sogni di metafore consunte, treni viaggi valigie, poi la luce del giorno e la vacua idea dell’addio, una estenuante finzione di fantocci di carne. Come svelare gli occhi a ogni nuovo sguardo, come riconoscere il languore dei relitti, il suo inganno che annienta. Ascolto adesso A Case of You di Joni Mitchell, regalo dell’amico di questa terra errante nello spazio interstellare.
C’erano due tulipani sul tavolo nel primo giorno, il dono di Ippocrate, il nostro medico del chiarore di primavera. Sfolgora oggi una rosa rossa raccolta da Rangreli nell’aiuola di una chiesa. Mi sorprende il grido di una rondine, un urlo così persino nei cieli di Milano. In Piazza Santa Francesca Romana io e Rangreli osserviamo con una strana felicità addosso le danze di ragazzi e ragazze peruviani. Il loro sorriso ha il sapore della nostra stessa strana felicità.
In una mattina di sole, poco prima della partenza a maggio, mi imbatto d’un tratto nel lazzaretto manzoniano. Il mio fiato diventa l’ansito di Renzo nel ricovero spaventoso, l’affanno di don Rodrigo in agonia, il respiro palpitante di Lucia tra gli appestati, il soffio di padre Cristoforo, la sua vampa di magma, l’aria di pietra pomice. Verrà un giorno… Una grande pioggia può lavare tutto, persino le fragole e il sangue dell’anno scorso. Quante altre Antigone e quante colonne infami. Rangreli scopre in quei luoghi una chiesetta ortodossa russa. Riceve una comunione che dapprima non riconosce. Me la offre. Mangio un pezzo di pane inzuppato nel vino, la mollica è tinta d’un rosa pallido che intenerisce.
Con Rangreli e Ippocrate ceniamo sulla terrazza di casa, nell’aria dolce di una lunga giornata piena di luce. “Ai propri figli, anche ai più piccoli, bisogna dire la verità, altrimenti un giorno si sentiranno traditi” afferma con decisione Ippocrate. “I genitori non muoiono sempre prima dei figli, come si dice loro per paura. Ho visto morire bambini di pochi anni. Questa è la verità.” E mentre siamo assorti a contemplare le parole che fluttuano nella notte di maggio, la luna piena sorge dai tetti di tegole, è uno splendore fatato che ci fa esclamare col dito puntato in quella parte di cielo. Poi restiamo in silenzio ad ascoltare la musica delle sfere celesti o forse invece sentiamo come in sogno l’abbaiare di un cane lontano.
Prima di partire cerco Piazza San Marco, lì dov’era nato sul finire degli anni Settanta “il luogo magico” di Milano. Ricordo Macondo di Mauro Rostagno e compagni, divenuto poi Vivek, centro di meditazione di Osho. Riconosco a stento la piazza, un tempo silenziosa e appartata. È adesso sommersa dal traffico e dai bagordi compulsivi del sabato sera. Mi torna in mente una delle scene finali di Nuovo Cinema Paradiso. Il matto del paese, decenni dopo, in una piazza completamente stravolta dal caos automobilistico e dai parcheggi, urla ancora “La piazza è mia!”, senza alcun orecchio che possa più ascoltarlo, la sua voce perduta nel clamore dei clacson e nello stridore di pneumatici. Mi viene voglia quasi di farlo anch’io, di urlare a squarciagola barcollando nel traffico come uno spaventapasseri. Ma so che diventerei più banale di uno dei tanti aperitivi sui tavoli. La sigaretta mi brucerebbe i polpastrelli e dovrei pagare pure i bicchieri rotti.
I papaveri sono nati in una lunga aiuola che divide due grandi strade di periferia. Il ragazzo si siede accanto a me, nel tram 24. Ha un rapido affanno, la fronte si imperla di sudore freddo. Poi mostra il bianco degli occhi e si adagia lentamente col capo, come un innamorato, sulla spalla di una ragazza allibita. Fermate il tram! Fermate il tram! No, niente ambulanza, torno a casa a piedi. Grazie… Il polso è di nuovo normale. Seguo con lo sguardo il ragazzo fino a un certo punto, poi il dedalo di un quartiere lo risucchia e lui svanisce. Chissà se tornerà infinitamente sul tram 24.
“Un caffè macchiato?” mi chiede in un sorriso la giovane barista. Sono seduto tra gli alberi di Piazzale Lavater, nella neve di fiori di bambagia. I pappi volteggiano e si sfaldano nell’aria. Ricambio il sorriso della ragazza, dopo poche volte ricorda già quel che prendo al mattino. “Sì” rispondo. Si avvicina poi con una specie di inchino e posa la tazzina fumante sul tavolo. Il profumo del caffè mi sveglia del tutto.    

6 pensieri riguardo “Verrà un giorno…

  1. Scrivo solo per complimentarmi: ho appena letto “Il sole il suono”. Dove trova le parole questo autore per descrivere odori, suoni, ombre e luci e sensazioni… Le ultime pagine bellissime.

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