Per Antonio

di Manu Bazzano

Antonio venne a trovarmi a Londra con sua moglie e suo figlio a maggio del 2017, dopo un intervallo di trentacinque anni. Avrei voluto mostrargli la brughiera sotto casa ma la pioggia implacabile non ce lo permise. Restammo in case a bere vino rosso e a discutere ferocemente come da ragazzi: Israele/Palestina, la sinistra italiana invertrebrata, l’invertebrato partito laburista, la speranza (ora svanita) di Corbyn, gli scritti di John Berger.
Ricordammo insieme il nostro giovane amico e compagno Adelchi, assassinato a 24 anni in Calabria il 20 ottobre 1974 da fascisti figli di papà. Finimmo per cantare l’Internazionale, anacronisticamente, allegramente, con la mano al cuore e lo sguardo fra il soffitto di legno e gli occhi dell’altro. Acciambellati sul divano dopo cena, mi confidò sottovoce che non stava bene, e dell’incertezza del futuro. Respinse il mio cruccio con un sorriso e un gesto della mano. Ciò che contava era un progetto su cui stava lavorando da una vita, un romanzo storico basato sulla vita di Milman Parry e che si valeva della sua conoscenza dei testi di Omero.  È quasi finito, mi disse, a parte alcuni “incontri probabili” fra Parry, Walter Benjamin e Gershom Scholem nell’agosto del 1927 a Parigi. Forse si incontrarono alla manifestazione di protesta contro l’assassinio di stato dei due anarchici e migranti italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ingiustamente accusati d’aver ucciso una guardia e un finanziere durante una rapina a mano armata. La loro innocenza venne infine a galla, così come i pregiudizi barbari e feroci contro i migranti, la sinistra e gli operai italiani che avevano influenzato il verdetto. Proteste in segno di solidarietà germinarono ovunque: a Tokyo, Sydney, São Paulo, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Johannesburg e Auckland la gente scese in piazza contro il razzismo dello stato e della polizia.
Antonio m’incoraggiò a cantare e suonare; avevo sedici anni e lui ventiquattro. Mi spinse su un palco alla Festa dell’Unità una sera d’estate e fu lì che cominciò la mia avventura con la musica. Sono giunto a Walter Benjamin tardi e ho subito imparato ad amarne erudizione, lentezza, testardaggine e goffagine, quel gironzolare mitico per città e storie, archivi e portici. Ho sempre associato queste caratteristiche ad Antonio, e nel ricordo il volto del mio vecchio amico si sovrappone stranamente a una foto di Benjamin, sigaretta fra le dita, fronte alta, i baffi sulle labbra carnose. Dieci mesi dopo il nostro breve incontro a Londra, Antonio morì. Gli scambi di posta elettronica  degli ultimi mesi mi diedero modo di leggere brani interi del suo manoscritto. L’ultima email s’intitolava Tutto bene?  Rileggendo un messaggio poco pima del nostro ultimo incontro, aveva scritto: “Sarà una serata davvero speciale, e non solo perché sono anni che non ci vediamo”.

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