Da quando abbiamo incominciato a “fare” questa rivista, in piena crisi della carta, mi sono chiesto spesso: e se fosse vero quello che raccontano i distributori; se fosse vero che in un anno si vendono solo venti copie; se fosse vero che hanno bisogno di migliaia di euro per promuovere un libro; se fosse vero che lo spazio nelle librerie spetta a chi è più bravo e non a chi ha più soldi? E mi sono dato sempre la stessa risposta: col c…
Se fosse vero quello che mi hanno raccontato gli editori e i distributori in vent’anni di cattive frequentazioni, non avrebbe senso pubblicare una rivista letteraria autofinanziata, sostenuta dai lettori e distribuita direttamente a voi. Per la semplice ragione che voi preferireste scegliere l’ultimo best seller in vetrina o in prima pagina sui grossi giornali di proprietà degli stessi gruppi editoriali che lo pubblicano. E invece, guarda un po’, proprio voi lettori ci avete dimostrato da un anno a questa parte, di saper scegliere cosa leggere se si trova il modo di mostrarvelo, nonostante i mille impedimenti. Ve ne dico uno, così, a bruciapelo: lo sapevate che sugli store online le piccole realtà editoriali indipendenti hanno diritto a un massimo di battute ridicolo per la descrizione dei propri libri, mentre le grosse case editrici dispongono di pagine intere con citazioni in grassetto, recensioni e fotografie? Verificate voi stessi, fateci caso…
Io non ho frequentato prestigiose accademie di scrittura, né corsi di laurea in editoria, ma non mi sono svegliato una mattina con l’idea di fondare una rivista… Ho imparato con l’esperienza, osservando il lavoro degli altri, e ho capito che molte cose avrei saputo farle meglio, per il semplice fatto che le avrei fatte per passione e non per soldi. Ho imparato a “costruire” un libro quando abbiamo iniziato a stampare raccolte di poesie per regalarle ai bambini, e lo facciamo ancora, con l’accezione che agli autori non ne regaliamo più perché alcuni se le rivendevano alle presentazioni. Intanto rifiutavo carriere accademiche a destra e a sinistra, e mi ostinavo a lavorare di notte come veilleur de nuit in hotel, in varie città europee, per poter avere una doppia vita, e trovare il tempo di leggere e scrivere, non in piedi nel metrò, ma con la concentrazione che mi rubano di giorno, e che ritrovo di notte. In tanti anni, sotto vari pseudonimi, ho pubblicato romanzi e racconti, alcuni con case editrici affermate che ne deterranno i diritti per secoli, e sapete cosa ho ricevuto in cambio? Nulla. Sugli scaffali delle librerie liguri in cui avevo la possibilità di entrare di persona, perché erano le più vicine al confine francese, non c’era spazio per chi non pagava il pizzo. Ci trovavi così tanta immondizia che i librai stessi erano mortificati, si lamentavano con me, che non c’entravo niente, e dicevano: non posso farci niente, o così, o chiudiamo. Poi magari chiudevano lo stesso o al massimo si trasformavano in cartolerie. E anche i primi in classifica avevano vita breve e venivano sostituiti dopo pochi giorni.
All’estero la situazione era anche peggiore: oltre ai soliti classici, si stentava a trovare buona letteratura. Ogni volta che vedevo quello spettacolo impietoso mi dicevo: un giorno troverò il sistema per saltare questo fossato maleodorante e arrivare direttamente ai lettori, perché – e di questo, ne sono tuttora convinto – l’industria editoriale non è mai stata al servizio di quella culturale, ma se ne è solo servita. La prova più eclatante era quel resoconto sulle copie vendute, tanto falso quanto i loro sorrisi, su cui scrivevano quello che volevano.
La cultura non è un prodotto che “funziona”. La cultura è un bambino che chiede alla mamma, cosa posso fare oggi pomeriggio? e una mamma che risponde a suo figlio: puoi leggere questo racconto sulle fate andaluse che ho trovato nella soffitta dei nonni, io l’ho letto quando avevo la tua età, e me lo ricordo ancora. Tra questa donna e suo figlio, un tizio che mette loro davanti la copia dell’ultimo vincitore dello Strega o altri premi ridicoli, recensito sul giornale finanziato dalla stessa famiglia che possiede la casa editrice per cui è uscito, e che ci infila dentro anche tre o quattro nomi di classici giusto per ispirare fiducia in un prodotto altrimenti sterile, finto, ruffiano, non c’entra proprio niente.
La cultura siamo noi e voi, sono questi testi che creiamo senza arraparci al pensiero che saranno trasformati in serie netflix, ma perché sentiamo che in qualche modo sono necessari. Tutto quello che si intromette tra noi e voi, per me rappresentava un ostacolo, e andava eliminato. Ostacoli, al plurale, perché su diversi piani: anzitutto quello logistico, poiché affidare un testo alla distribuzione editoriale vuol dire andare a casa di un qualche boss e chiedergli di vendere il tuo cemento piuttosto che quello delle famiglie a lui legate; e sul piano morale, perché l’autocensura imposta subdolamente per pubblicare oggi ha raggiunto picchi storici, e per questo la maggior parte degli autori nelle vetrine di cui sopra copia e incolla sempre la stessa roba cambiando l’essenziale pur di non rischiare di essere originali.
Affidarsi alla distribuzione significava piegarsi a un sistema mafioso, non solo perché il 50-60% di quello che voi pagate sarebbe finito nelle loro tasche, ma perché nelle librerie la nostra rivista ci sarebbe arrivata a un prezzo maggiorato (18€ anziché 9€) e solo su ordinazione, ovvero, sarebbe stato come non esserci. Per ordinare un testo, devi già conoscerlo, o perché ti hanno rimbambito di pubblicità, oppure perché sei un amico o un parente dell’autore. Noi, io e un gruppetto di pazzi che si è unito a me formando una specie di famiglia, volevamo rivolgerci direttamente a voi, perché se è vero che siamo liberi noi, ci abbiamo messo un po’ a capire una cosa fondamentale, che ha rappresentato la vera svolta in questo progetto: liberi siete pure voi. Nessuno vi costringe a comprare quello che vi viene spiattellato sotto gli occhi nelle vetrine del Corso, oppure nei programmi televisivi in cui gli attori sono gli stessi raccomandati che stanno in quelle vetrine.
Il sistema di alimentazione delle false speranze ha sorretto finora la putrida impalcatura di questi soggetti corrotti fino all’ultimo dei peli dei piedi: tu compri i miei libri e forse un giorno il tuo libro o quello di tuo nipote, di tuo figlio, di tuo padre vecchio morente che ha fatto la guerra verrà pubblicato. E ve ne accorgete subito: basta guardare la schiera di follower delle grosse case editrici, una piccola parte è disinteressata o è lì per leggere, tutto il resto sta facendo quello che nel nostro paese funziona meglio: leccare i piedi, peli compresi.
A proposito, se tra di voi c’è qualcuno che ha acquistato una copia di Articoli Liberi perché voleva arruffianarsi i redattori e proporre il proprio manoscritto ammuffito nel cassetto, lo prego di dirmelo e sarà rimborsato subito. L’unica cosa che ci interessa in questi casi è il testo, corredato da un “buongiorno” e un “arrivederci”; tutto il resto fa parte di un mondo malato che abbiamo abbandonato, un meccanismo marcio che presto imploderà ufficialmente. Hai voglia di reinventarsi e riproporsi sotto false spoglie, giocando a fare gli inclusivi e i politicamente corretti. Chi puzza, puzzerà.
Per liberarci della distribuzione editoriale, e della sua aurea da santarella che ti promette anche la promozione inclusa nel pacchetto, Articoli Liberi viene ordinata direttamente dal nostro sito. Lo stesso vale per le librerie: il conto deposito è l’ennesimo sistema per fregare soldi, ci abbiamo provato ed è meglio che non vi racconti come è andata a finire. Le librere adesso possono ordinare le copie col 50% di sconto dalla nostra pagina Shop, usando il codice SCONTOLIBRAI, spese di spedizione incluse nel prezzo, e rivenderle ai loro clienti al prezzo di copertina. La produzione di una rivista in piccole tirature come la nostra non ha costi elevati come raccontano gli editori disonesti che chiagneno e fottono da veri esperti della commedia dell’arte, ma non potremmo permetterci questo investimento di tasca nostra. Per cui ci affidiamo alle prevendite. Un mese prima dell’uscita di ogni numero, i vostri ordini ci permettono di raccogliere un certo budget e iniziare a lanciare le prime stampe. Ci sono altre spese, non sto qui a farvi la lista. Anzitutto le remunerazioni degli autori. Quando abbiamo annunciato che in un ambiente in cui gli autori pagano per pubblicare, noi invece paghiamo gli autori, alcuni noti personaggi dell’establishment che dirigono una rivista piena zeppa di scambi di favori ad alto livello, si sono sentiti in dovere di revisionare la loro pagina “chi siamo” in cui – che teneri – hanno aggiunto paragrafi contorti per dire tra le righe che in cambio di abbonamenti pagheranno i loro collaboratori, ma in realtà saranno sempre e solo capaci di rubare, come esige la loro natura.
Noi non rubiamo. Anzi, offriamo libero accesso a questa piattaforma, a tutti gli autori e i redattori che lo desiderano. Chiunque può vedere in tempo reale il numero di copie vendute…
In sintesi, lasciando perdere gli altri, di cui non ci importa un fico secco, se Articoli Liberi vivrà, sarà solo grazie a voi, e grazie ai miei amici. Io da solo, in questo ennesimo alberghetto in cui mi rifugio di notte dal male del mondo, farei ben poco. Articoli Liberi non esisterebbe senza l’occhio attento di Subhaga, che stana il sangue di un refuso come uno squalo a un chilometro di distanza; la gioia infantile e contagiosa di Marisa; il carisma di Debora, che ha ideato una rubrica per parlare direttamente a voi e abbattere questo muro fatto di carta; o ancora, l’esperienza libraria di Alex, che potreste stare qui ad ascoltare per ore mentre vi racconta di autori meravigliosi dimenticati o esclusi dal canone, lo stesso canone che accarezza la groppa dei cuccioli di razza allevati nelle scuderie di regime. Noi non ci sentiremmo amati in una stalla, noi siamo cani romantici, siamo la zebra, il lupo, la balena bianca che dai mari pieni di piscio è fuggita in oceani freddi, puri, eterni.