Dorothy conosceva Jill fin troppo bene, la portava dentro di sé da che aveva memoria. Jill era l’altra Dorothy, quella parte di barbaro e scostante che Dorothy temeva di mostrare in pubblico. Il lato selvaggio tenuto per anni nello scantinato del proprio animo che ora fremeva per ottenere un posto alla luce del sole. Dorothy non aveva paura di Jill, sapendo che quel momento sarebbe giunto prima o poi si era preparata per tempo, l’aveva studiata con accuratezza. Ormai la conosceva bene e l’amava. Dorothy era presa da una passione temeraria per Jill e sentiva come mai prima il bisogno di donarle la vita che fin lì le era stata negata. Soltanto una nuova lingua poetica sarebbe però riuscita in quel miracolo, tale era stato il cruccio di Dorothy da quando aveva pubblicato la sua prima raccolta di versi. Questo accadeva alla metà degli anni ’70, Dorothy si divideva allora tra la scrittura e la preparazione della sua tesi di laurea e intorno a lei il mondo era in fervente subbuglio. Di tutto questo ardore, poco o nulla era approdato sulle coste australiane. Certo, comunità di artisti insofferenti alle regole e ribelli di ogni risma avevano abitato in continuazione quella terra che pareva ai confini del pianeta. Qualcosa di asfittico, forse erede del becero passato coloniale, era comunque rimasto e si era sedimentato nelle profondità dello spirito dei conterranei di Dorothy, quasi a voler scontare con la grettezza coriacea la propria eredità di deportati espulsi dalla madrepatria. Sidney, la città in cui Dorothy era nata e nella quale aveva concluso gli studi, non sembrava fare eccezione. Ripensando a quegli anni, Dorothy attribuiva anche al tedio mortifero che la circondava la ragione per cui aveva preferito segregare Jill in una gabbia, scrutandola con regolarità fino al giorno della sua liberazione. Adesso quel giorno era arrivato, i tempi erano cambiati, molto di quel che accadeva fuori dal paese era diventato alla lunga parte della cultura comune e l’Australia aveva smesso di essere la provincia remota di un impero decrepito. Adesso anche i più radicali autori australiani, quelli che avevano colto in anticipo i segnali di rinnovamento dei linguaggi espressivi, erano entrati nei programmi di scuola. Era venuto il momento per Dorothy di sperimentare, di sovvertire, di stupire. Era venuto il momento per Jill di andare alla ricerca di Mickey, la Dorothy che tutti avevano frequentato ogni giorno perché ciò era quel che Dorothy si era concessa di mostrare di sé. Ora Dorothy aveva maturato la lingua che avrebbe permesso a lei, a Mickey e a Jill di ritrovarsi per la prima volta. Da quel loro faccia a faccia sarebbe venuto al mondo quel vertice di quotidiana epica noir che avrebbe consacrato in via definitiva Dorothy come poetessa.
Da giovane immersa negli studi, Dorothy si era chiesta spesso se la poesia epica avrebbe potuto avere un ruolo nel raccontare la contemporaneità. Non era l’unica a essersi posta quella domanda, il ‘900 aveva osato così tanto nelle arti da abbracciare e rinverdire in pochi decenni l’intera storia conosciuta della poesia. L’epica del convulso mondo moderno aveva già passeggiato per le strade di Dublino e di Londra, aveva visitato i quartieri di Parigi e di Vienna, era stata protagonista di romanzi e poemi, la stessa giovanissima arte del cinema ne aveva fatto tesoro incantando spettatori di ogni latitudine. Il tempo accelerava di continuo, il rock ora pareva rubare la scena al cinema, che si rintanava in difesa temendo di andare oltre le consuetudini assodate. Il teatro rimaneva vitale mescolandosi felice con le sonorità elettroniche, la lirica e il musical flirtavano spudorati, le parole declamate a ritmi vertiginosi nei quartieri delle periferie urbane prendevano il sopravvento denunciando iniquità antichissime, i generi popolari tornavano in auge seducendo autori dagli esiti coltissimi. Tutto sembrava possibile come e più di prima, forse si era arrivati alla fine dei tempi, forse quella sarebbe stata l’ultima età dell’oro prima della catastrofe. L’ultimo decennio del secolo breve, forse l’ultima fase di libera sperimentazione per lasciare un segno. Il racconto poliziesco, il ritmo frenetico del rap che si lascia sedurre dalla poesia epica antica, la vicenda di una donna selvaggia incaricata di rintracciare una giovane poetessa svanita nel nulla, l’amore che si dissolve nella morte. Dorothy ci lavorò senza un solo istante di tregua, ogni sua singola banale esperienza venne messa al servizio di quella storia, ogni minimo nervo scoperto si aggrappò tenace a un verseggiare scandito con rapidità. La tensione agra e dolente di una fuga e di un incontro rimandato per anni, diventato ora improrogabile. Era dunque questa l’urgenza dello scrivere, si chiedeva con insistenza Dorothy senza concedersi un semplice attimo di pausa? Jill aveva lasciato la prigione, nelle pagine di quel romanzo in versi andava alla ricerca disperata di Mickey, ignorando che lei giaceva morta in qualche luogo anonimo. Doveva finire così sulla pagina, era troppo tardi perché le due metà amate da Dorothy si riunissero in un solo essere vivente. Troppo a lungo Jill era stata tenuta segregata, troppo a lungo Mickey era stata il solo volto di Dorothy. Nel percorso dell’eroe che Dorothy aveva affidato a Jill non era contemplato il lieto fine. Quel percorso fatto di fatiche lasciava spazio a tutti quelli che Dorothy aveva conosciuto fin lì. Ecco allora gli anni ’70 con i suoi sfacciati artisti in erba e le giovanissime figlie dei fiori che sognavano di rinascere attraverso pellegrinaggi indiani, ecco il decennio successivo con le ondate di rampantismo degli avvocati un tempo progressisti e il ritorno di fondamentalismi religiosi che si ritenevano estinti, ecco quegli ultimi caotici anni prima di una nuova oscura era dimenarsi tra il bisogno del vecchio e l’anelito al nuovo. Jill aveva potuto conoscere tutto il trambusto che era stata la vita di Dorothy. Mickey aveva dato la sua vita per fornire la poesia necessaria affinché ciò accadesse. Dorothy aveva percorso a ritroso la sua esistenza, questa volta senza tralasciare nulla. Liberando Jill, Dorothy aveva ricucito quella parte di sé che era stata congelata troppo a lungo da timori insensati e sacrificando Mickey aveva dato fondo a ogni scintilla della sua ispirazione, conquistando una maturità senza pari. Ora Dorothy poteva concedersi di essere felice, la libertà si sarebbe riversata nei suoi versi sgorgando direttamente dalla gioia dei giorni. Niente sarebbe stato più come prima. Avrebbe amato e scritto con pienezza inaudita, finché avesse avuto fiato in corpo per farlo. Anni dopo, prossima a una morte precoce, Dorothy era tornata con la nitidezza del ricordo a Jill, la sua maschera di scimmia, e a Mickey, la dolcissima ragazza che era stata, quella che scriveva poesie per vincere la timidezza. Ripensando sorniona alle due donne che non erano riuscite a incontrarsi nelle pagine di quel suo libro singolare e amatissimo, Dorothy si strinse con forza alla sensazione elusiva di non essersi mai sentita così completa come mentre lo scriveva.