L’ombra di Franz Innerhofer racconta la sua morte

di Alex Marcolla

L’ombra di Franz osservava il corpo senza vita che giaceva a pancia sotto nella stanza da letto del piccolo appartamento di un quartiere poco distante dal centro di Graz. Erano trascorsi due giorni o poco più da quando Franz si era tolto la vita, ora la sua ombra vegliava a pochi passi da quel corpo inerte, timorosa che nessuno si accorgesse di quel che era accaduto. L’indifferenza patita lungo una intera vita sembrava aver giocato un ultimo scherzo meschino, anche dopo la fine Franz rimaneva un fantasma capace soltanto di creare ingombro. L’ombra disperava che qualcuno arrivasse, già tornava a lontane memorie di corpi ritrovati dopo mesi per via del puzzo insostenibile che emanavano. Non può finire in questa maniera, non sono forse stato punito fin troppo in vita? L’ombra rimestava tra sé quella dura esistenza, nutrita unicamente da una rancorosa solitudine. Di questo sono capaci gli uomini, senza pietà pure davanti a un morto. Il silenzio che si insinua e ammazza due volte. E tu Franz, che crepi e crepi e crepi in continuazione. Mai sei riuscito a rammentare quando fosse stata emessa la condanna, mai avevi cessato di attendere un’assoluzione. O quasi mai, perché assediato da una fame che non si sazia con il cibo, un gelido pomeriggio di gennaio avevi deciso che basta, non c’era più spazio per reminiscenze o assoluzioni, l’attesa era conclusa e ti aveva vinto per sfinimento. E l’avevi fatta finita, senza tornarci troppo sopra, con quel molto che non era mai andato e con quel raro che di buono c’era pur stato. Fine. Chiuso. Senza lasciare biglietti. In fin dei conti, c’era già tutto nei libri che avevi scritto e quel tutto lo avevi fissato con una lingua minacciosa che faceva a pezzi chi trovava il coraggio di leggerti. Per un istante l’ombra scostò gli occhi dal proprio corpo e voltando lo sguardo con lentezza li puntò dritti sull’uscio. Le pareva di aver udito un rumore. Eccoli, se ne sono accorti. Attese, invano. Forse si era trattato di qualcuno al piano di sopra, adesso il silenzio era rientrato e occupava ancora una volta l’aria greve che addensava la camera. L’ombra non poteva piangere, Franz le sue lacrime le aveva consumate tutte una alla volta prima di raggiungere la maggiore età. Ogni lacrima versata conteneva un colpo inferto allo spirito che aveva albergato nel corpo immobile che giaceva al suolo. Ogni parola scritta in seguito era stata il tentativo smisurato di fermare quelle lacrime sulla carta per renderle testimoni dei colpi subiti. E per cercare un rapporto qualunque con un mondo che si reggeva su una sola legge, quella dell’ostilità. L’ombra non possedeva voce, Franz la sua voce l’aveva messa al completo servizio della scrittura. Non restava che attendere, tornando a quelle lacrime che si erano fatte parola. Unico appiglio per non impazzire in quel limbo che non era ancora morte, che non era più vita.

Franz era nato fuori dal matrimonio nella provincia di Salisburgo l’anno prima che finisse la guerra. Una valle dedita al lavoro della terra, governata da leggi plurisecolari che Franz aveva infranto prima ancora di nascere perché illegittimo. Una valle dalla mentalità rigida che si atteneva a una cultura patriarcale, concepita da tutti i suoi abitanti come il solo modo per far fronte a tempi caotici. Una vita di fatica disumana intesa come scotto da pagare e far pagare per la colpa del peccato originale. Una vita che tracimava spesso nella più efferata brutalità. Ci si alzava prima dell’alba, gli uomini nei campi e le donne a badare alla casa e ai numerosi figli. Si sudava a ogni ora del giorno durante la settimana, si pregava nel perdono divino alla messa della domenica. Si esercitava la violenza del più forte sul più debole, senza che questo destasse rimprovero alcuno da parte delle autorità. Si beveva parecchio, per sopportare una vita di niente. Solo schiene sferzate dal lavoro, violenze domestiche e preghiere per far durare tutto il minor tempo possibile. Gli uomini erano i più fortunati, quelli giovani erano partiti a far la guerra. Molti non erano più tornati, chi ci aveva lasciato la pelle, chi alla fine aveva scelto di essere libero e ricominciare altrove, lontano da quella valle di dannati. La madre di Franz aveva sopportato l’ostracismo della comunità per via di quel suo figlio bastardo. Quando un nuovo amante era entrato nella sua vita, lei aveva intimato al figlio di andare dall’uomo con il quale l’aveva concepito. Franz aveva undici anni quando si presentò alla fattoria di suo padre, nessuno lo accolse a braccia aperte, era una bocca in più da sfamare. Fu sistemato nella baracca dei braccianti quella sera stessa, l’indomani venne mandato a lavorare nei campi. Districandosi tra i soprusi e la fame, Franz sentì forte dentro di sé il desiderio della fuga. Nei rari momenti in cui riusciva a sottrarsi alle catene invisibili che lo legavano alla fattoria, Franz percorreva a piedi il tratto di strada che lo separava dal paese più vicino e si rifugiava nella piccola biblioteca che vi aveva scovato. Sapeva leggere, scrivere e fare i calcoli, quella base che non mancava a nessuno era stata garantita pure a lui. Franz però pretendeva di più, aveva intuito già da un pezzo che i libri e lo studio gli avrebbero elargito il dono più prezioso al quale ogni essere umano potesse ambire: la libertà. Diventato più grande chiese e ottenne dal padre il permesso di frequentare un corso per diventare fabbro. Mise in pratica ciò che aveva imparato, si svincolò dalla tirannia della terra e alternò il lavoro allo studio. Si iscrisse ai corsi per lavoratori di un liceo e ottenne un diploma. Poi arrivò il trasferimento a Salisburgo, l’iscrizione all’università e quella che aveva le sembianze di una vita nuova, una vita del tutto sua. Fu allora che Franz si accorse di non riuscire più a piangere, quello che aveva vissuto e patito lo aveva irrimediabilmente prosciugato. Fu allora che Franz comprese che i sentimenti perduti avrebbero potuto rivivere tramite le parole. Quando il suo primo libro giunse nelle librerie alla metà degli anni ‘70, una tempesta spazzò via l’immagine idilliaca che il suo paese si ostinava a perpetrare agli occhi degli altri. In quel libro il racconto divenne resa dei conti, cronaca spietata di un uomo a cui avevano strappato l’anima con la forza.

Franz proseguì lungo quel sentiero, vennero alla luce altri due libri nei quali con fermezza il bisturi veniva affondato nelle pieghe più amare del suo vissuto. Arrivarono anche i riconoscimenti, di colpo Franz era diventato la nuova stella della letteratura nazionale. Non era quello il rapporto che aveva desiderato di instaurare con il mondo e diffidando di tutto quel rumore che lo metteva sotto assedio, Franz si trincerò nel riserbo. Si trasferì a Graz, aprì una piccola libreria e restò in attesa che altre parole gli facessero visita per narrare di nuovo, per tentare ancora di tessere un dialogo con la realtà che lo teneva in disparte. Il nuovo decennio portò con sé un benessere mai visto in precedenza, la pancia piena reclamava di non essere infastidita, di colpo l’oblio bussò a ogni porta. Franz aveva ripreso a scrivere, ispirato dallo sconforto che destava in lui il mutare dei tempi con il suo venir meno della memoria. Aveva radicalizzato la sua acrimonia, che sfociava ormai in una rassegnazione senza confini. Quando il suo editore gli negò la pubblicazione, invitandolo a scrivere diversamente, Franz obiettò un netto rifiuto. Non poteva tradire se stesso, non poteva accettare compromessi dei quali si sarebbe vergognato. Da astro nascente del mondo letterario era diventato un invisibile, un reietto che sbraitava contro gente spensierata che si voleva soltanto divertire. Se il mondo rurale, povero e violento, che gli aveva tolto ogni sentimento gli era sembrato ingiustificabile, questo nuovo mondo di lustrini che faceva del sentimentalismo la propria condotta morale lo tollerava ancor meno. Si chiuse in casa, si abbandonò al bere, ruppe gli argini della sua solitudine, si suicidò. Destatasi dai suoi ricordi, l’ombra avvertì qualcosa sul proprio viso. Le lacrime erano tornate, copiose scendevano tra la fitta barba incolta. E con le lacrime, la gioia di un rumore in lontananza. Qualcuno armeggiava con la serratura della porta d’ingresso, qualcuno si era preoccupato per lui, qualcuno era venuto a cercarlo. L’avrebbero trovato, l’avrebbero sepolto. Forse anche Franz e la sua ombra ora si sarebbero goduti una briciola di quiete.

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