Un tè al gelsomino

di Lara Carbonara

L. Bella la tua immagine del profilo. A vederli così grondanti di luce non sembrano frutti formati dal sangue di Dioniso.  Ma se cerchi di annullare lo sfondo e di ricamare una sagoma in questi rami, non vedi, forse, la vitrea Proserpina di Rossetti, polposa e vivida, lieve nella sua fierezza, spirituale nella sua sensualità estatica nella sua inquietudine (inconsapevolmente) erotica? Immagino che tu l’abbia vista – ti sia sentita debole – e che la riveda ogni giorno nei frutti tanto amati dai passeri del tuo giardino.

K. Ma stai cercando di parlare di poesia o di arte?

L. …

K. Rullo di tamburi. A che pensi? a che pensi?

L. A cosa c’è bisogno per fare luce sulle cose. Un giorno ho letto da qualche parte che gli aborigeni non credevano all’esistenza di un paese finché non lo vedevano e non lo cantavano. Dunque, il paese non era esistito finché non lo avevano cantato. Un po’ come l’arte che ha il potere di illuminare ciò che i comuni mortali non vedono.

K. Io trovo che la luce sia difficilissima da creare, da riconoscere.

L. Ma secondo te, la luce illumina ciò che è avanti o ciò che è dietro?

K. Illumina prima il davanti, la superficie, e poi scava a fondo e illumina il resto, cioè ciò che sta dietro la materia.

L. E a ciò che sta dentro il gesto chi ci pensa?

K. Stai ascoltando una musica mentre parliamo?

L. No perché?

K. Ne sento il bisogno, pensavo che tu già la sentissi.

L. No però in questo momento ascolterei una musica singhiozzante.

K. Il singhiozzo del pianto o delle risate.

L. Un po’ graffiata un po’ lamentosa: il bisogno del pianto e il dovere delle risate o la necessità delle risate e la rassegnazione del pianto.

K. Il pianto non è rassegnazione, è consolazione.

L. O nervosismo.

K. Vuoi tornare alla luce nel gesto?

L. Voglio ri-tornare al gesto, sì. La gestualità è un aspetto insito nelle creazioni secondo te? o basta un sussurro? un tocco leggero.

K. La creazione non esiste senza la ritualità della gestualità.

L. È la ritualità che dà dignità al gesto?

K. No, secondo me, la ritualità è intrinseca, quando dietro il gesto c’è un senso, un perché, un sentimento, un’emozione, una reazione.

L. Il rito del farsi domande.

K. Che ne pensi di non fare più domande?  perché lo facciamo? Perché ci poniamo domande? Per poter poi drammatizzare il fatto di non riuscire a trovare risposte?

L. Per non pensare quello che pensano tutti e per avere un nostro modo di pensare, che non sarà migliore o peggiore, sarà semplicemente un nostro commento al mondo interiore e silenzioso.

K. E secondo te, a chi può interessare se non viene pubblicato?

L. Non so a chi possa interessare, ma penso che a furia di leggere le opinioni degli altri non abbiamo più voglia di pensare da soli.  

K. Perché? Non è leggendo che si forma il pensiero?

L. Perché dovremmo leggere i fatti. I pensieri dietro i fatti. Invece ci piacciono solo i titoli davanti ai fatti: le fotografie degli altri, le case con le finestre spalancate sui vigneti, i viaggi in camper e gli occhiali da sole fighi. Seguire quello che ci fa più comodo non quello che ci fa più crescere.

K. Quindi se ho capito bene il pensiero esiste come concetto. Poi lo si deve scrivere, pubblicare, solo allora si può dire che esiste.

L. Esatto. Questo è quello che ci fa comodo.

K. In altre parole esistere è essere percepito, fiutato, colto, inteso.

L. No, esistere è essere spiato con qualche citazione qua e là.

K. Ma le citazioni sono assenza di opinioni?

L. No, l’assenza è un diritto, ogni tanto. È la non-presenza che diventa pesante.

K. Le citazioni sono da ipocrita.

L.  Ipocrisia nei confronti di chi?

K. Di tutti i camper che invidiamo. Ci piacciono, amiamo quello che fanno ma vorremmo essere al loro posto. Quindi siamo ipocriti.

L. L’ipocrisia non è sempre negativa e soprattutto va dosata bene.

K. Ok, allora ci sto.

L. Ipocrisia: “simulazione di virtù allo scopo di ingannare”. Potremmo dire che il virtuosismo inganna ma a fin di bene. Edulcora l’opinione.

K. Forse ho bisogno di un tè al gelsomino.

L. Di me al gelsomino?

K. Non di te, ma di te nel mio tè al gelsomino.

L. Troppo dolce. Al massimo aggiungerei il ribes, aspro, radicale, coraggioso.

K. Sì ma se ci siamo solo io e te anneghiamo. posso invitare qualcuno?

L. Non vorrei dica cose più intelligenti di me e te messe insieme…in tal caso non lo accettiamo.

K. Ma tu non bevi il tè.

L. No. Però mi piacerebbe con la tazza fumante guardando fuori dalla finestra la pioggia.

K. Quando piove io la tengo aperta la finestra.

L. Allora pausa tè guardando le finestre aperte mentre piove dentro casa.

K. D’accordo. Alle 17:17 di ogni giorno che piove.

L. E se non ci seguiamo più?

K. Mi hanno detto che dei fili attraversano gli oceani.

L. Ma poi questi fili qualcuno li prende per ricamarci un tappeto, poi noi come parliamo?

K. Troveremo il modo di ricucirli.

L. Parliamo di sostanze senza orientamento pur avendone bisogno.

K. Riempiamo le stanze di bisogni per orientarci.

L. E se riempissimo le stanze di orientamenti per averne bisogno?

K. D’accordo. Ma lo sai che sarà difficile orientarsi in questo mondo pieno di idee brulle fasulle citrulle.

L. Frolle, fasulle, fanciulle, nulle.

K. Ma l’arte dov’è?

L. Infatti l’arte in tutto ciò dove sarà mai? quella che ci piace intendo, quella che ci fa emozionare, che ci fa commuovere, che ci rende deboli. L’arte che riconosciamo nell’ombreggiare di una vigna, nel torpore del risveglio, nel profumo della lavanda d’estate, nella rayuela dei bambini, nella campana che rintocca in un dì di festa.

K. Che vuoi possedere perché è lei che ti possiede.

L. Forse siamo nel periodo post-situazionista, nel senso che l’arte è alla deriva delle situazioni.

K. Giusto. Non ha più il potere di catturare, persuadere, scioccare, trasmettere, moralizzare. È proprio oltre le geo-grafie.

L. Niente moralismi. L’arte è diventata solo una bella stanza in cui entrare mettere mi piace e andarsene.  Hai preso le chiavi?

K. C’è un artista che disegna le mappe e nasconde le chiavi nel terreno.

L. Ok allora mi basta una penna per disegnare una stanza. Preso la penna?

K. Non mi serve.

L. Preso i pensieri e le opinioni e le parole? Quello che noi sappiamo e che gli altri non sanno ci rende più soli.

K. Ok. Tu prendi la penna e cerca le chiavi. Intanto mi faccio un tè. Te ne lascio un po’ per quando vieni a trovarmi tu, ribes, aspro, radicale, coraggioso.

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