Gli occhi di Bernice Rubens per scovare il ridicolo del mondo

di Alex Marcolla

Bernice era dotata di qualità singolari fin dalla nascita. Prima di tutto c’erano i suoi occhi. Quando la stanza in cui si trovava non era bene illuminata, nessuno dei presenti riusciva a farci caso. Al contrario, quando il sole di una giornata di bella stagione colpiva con la sua luce il viso di Bernice, chi non si lasciava distrarre dai suoi tratti irregolari poteva notare una punta appena accennata sulla superficie delle sue pupille. Si trattava di una lama affilata in grado di ridurre in tanti piccoli pezzi ogni maschera o velo che gli altri si mettevano addosso per nascondere ciò che in realtà erano. Crescendo Bernice si accorse che non esisteva bugia che i suoi occhi non riuscivano a scovare. Ipocrisie o contraddizioni di ogni sorta erano il pane quotidiano per quegli strumenti taglienti, nessuno sfuggiva ai loro fendenti lucidi e implacabili. Le volte che Bernice era scoperta a ridere di gusto nascosta in qualche cantuccio appartato, tutti in casa intuivano che gli occhi della piccola avevano smascherato una menzogna abilmente costruita o un comportamento che non corrispondeva a verità, e facevano propri i suoi singhiozzi di giubilo. Poi c’era l’udito. Bernice riusciva a riprodurre il timbro di una voce o il tono di una conversazione tra più persone dopo un semplice rapido ascolto. Anche quello di cui si parlava i suoi orecchi finivano con il registrarlo all’istante e la sua memoria ne teneva traccia precisa per lungo tempo. Se il primo di questi doni era suo soltanto, il secondo era largamente diffuso tra i membri della famiglia di Bernice. L’orecchio finissimo per suoni e rumori, tonalità e note apparteneva al patrimonio delle famiglie di entrambi i suoi genitori e ne godevano sia Bernice che i suoi tre fratelli. Due di loro erano destinati a diventare celebri musicisti classici. Anche Bernice desiderava seguire quella strada, il pianoforte e il violoncello parevano non aver alcun segreto per lei. Mentre cresceva l’udito perse quella particolarità, aveva smesso semplicemente di percepire ciò a cui le persone comuni non potevano arrivare. Per Bernice fu come essere diventata sorda all’improvviso, quella frattura la mise in disparte dal resto della famiglia. Bernice non era più come loro, non sarebbe più riuscita a intraprendere la via scelta dai suoi fratelli. Si chiuse in se stessa e si impegnò nello studio. Una volta laureata, scelse di insegnare in una scuola elementare. Per caso le fu offerta l’opportunità di lavorare per una società che realizzava documentari. Quando i suoi occhi si posarono dietro l’obiettivo della cinepresa, Bernice si ricordò dell’altro suo dono. Quella capacità tutta sua di non limitarsi a guardare il mondo, ma di vederlo per quel che era in realtà, cogliendone il ridicolo e il tragico, ridendone di gusto senza inibizioni. Come aveva potuto rammaricarsi così tanto per l’orecchio perduto quando lei era la sola in famiglia a possedere quella curiosa vista penetrante! Come aveva potuto dimenticarsi di quel regalo prezioso, abbandonandolo negli scantinati del suo ricordo! Ora occorreva riappropriarsene e allenare la vista in funzione di quello per cui l’avrebbe impiegata: raccontare storie. A trent’anni compiuti, Bernice si scoprì scrittrice.

Cominciò a pubblicare romanzi. La perdita del suo orecchio musicale era inizialmente il tema privilegiato di pagine lucide e irriverenti. Con il passare del tempo, l’orizzonte narrativo di Bernice si ampliò, includendo tutti quelli che entravano a far parte della sua vita o coloro che già vi appartenevano. Amici e familiari, semplici conoscenti arrivati fino a lei per caso o figure del suo passato la cui vita il suo occhio vigile riportava alla luce dopo aver scorto fugacemente una vecchia fotografia in bianco e nero. Tutti venivano spogliati dalle incrostazioni del vivere sociale. Tutti erano scandagliati al chiarore del suo sguardo vivido e inquietante. Nessuno però era condannato per le proprie miserie, il riso di Bernice stemperava qualsiasi carenza e la riportava al piano della completa umanità. La compassione dei suoi occhi andava a braccetto con la sua sferzante ironia. I suoi libri raggiunsero una vasta popolarità, fioccarono premi e riconoscimenti, la sua creatività era inarrestabile. Conobbe Rudolf e quel sentimento inaspettato le aprì ulteriormente gli occhi sul mondo. La famiglia di Rudolf era scappata dalla Germania poco prima della guerra, trasferendo in Inghilterra la piccola azienda di commercio di vini che ne aveva garantito la fortuna fino all’avvento del nazismo. Anche Rudolf possedeva una capacità di vedere simile a quella di Bernice. In Germania Rudolf aveva posato lo sguardo sul Male. Anziché accecarlo, quell’esperienza l’aveva reso più sensibile a comprendere l’altro da sé. Fino ad allora, Bernice aveva impiegato il suo dono per rendere visibile la banalità del malessere umano, la semplice fatica di stare al mondo. Rudolf le mostrò un diverso modo di vedere, le aprì completamente gli occhi e fu solo la forza del loro amore a evitare che le atrocità versate negli occhi di Rudolf accecassero Bernice per sempre. Si sposarono, ebbero due figlie, entrambi scrivevano. Bernice cominciò a chiedersi da cosa aveva avuto origine il talento di vedere, che lei e il marito avevano in comune. Quando Rudolf le disse che avrebbe raccontato la storia della sua famiglia, lei capì che il mistero di quel dono si celava nei legami familiari. Le loro erano famiglie ebree costrette alla fuga, quella di Rudolf scampata in Inghilterra dalla furia omicida dei nazisti, quella di Bernice giunta in Galles da Lituania e Polonia per sfuggire alla miseria. Delle vicende dei suoi genitori Bernice sapeva fin da piccola, mai però aveva approfondito. Pensò che fosse arrivato il momento. Li interrogò, riesumò impolverati album di fotografie, lesse diari di parenti morti da un pezzo e si rese conto che forse la sua abilità di perlustrare lo spirito umano era il risultato di un viaggio originato da una truffa. Era la storia che le mancava, sarebbe diventato il romanzo che meglio di ogni altro tra quelli che aveva scritto finora, le avrebbe consentito di impiegare appieno la capacità di narrare attraverso gli occhi. Ecco dunque Eli, suo padre. Eccolo adolescente nella Lituania agli inizi del ‘900. Eccolo affamato in una famiglia affamata, tanti fratelli e sorelle alle prese con le incognite di un vivere precario. Quando Eli stabilì che il suo futuro sarebbe stato New York, prese commiato dai familiari e partì. Con mezzi di fortuna arrivò fino in Inghilterra. Una nave lo attendeva sulle coste del Galles, lo avrebbe condotto fino in America dove sarebbe cominciata per Eli una nuova vita. Al momento della partenza però, il biglietto che aveva comprato da un conoscente prima di lasciare la Lituania dando fondo a tutti i suoi risparmi si rivelò falso. Decise di restare a Cardiff, avrebbe lavorato e tirato la cinghia per acquistare un biglietto autentico e finalmente partire. Poi conobbe Dorothy, la madre di Bernice. Anche Dorothy figlia di immigrati ebrei, arrivati però dalla Polonia. Eli non avrebbe mai visto l’America. Invece, tutto ciò che aveva assimilato nel corso di quella interminabile odissea attraverso l’Europa gli si depositò negli occhi. Gli stessi che Bernice avrebbe ereditato alla nascita, ponendoli al servizio della sua inesauribile vena affabulatoria.

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