Cosa accade all’immaginazione individuale immersa in una civiltà dell’immagine

di Marisa Paladino

Le prestigiose Charles Eliot Norton Poetry Lectures che dal 1926 si tengono all’Università di Harvard sono cicli di lezioni che riguardano le varie forme di comunicazione poetica – letteraria, musicale, figurativa –  con il tema lasciato alla libera scelta dei relatori. Il primo italiano a essere invitato, dopo predecessori del calibro di T.S.Eliot, Igor Stravinnsky o Jorge Luis Borges, è Italo Calvino per l’autunno del 1985.  Lo scrittore non riesce a concludere il suo lavoro per un ictus cerebrale che lo colpisce proprio nel settembre di quell’anno e che lo porterà alla morte, le lezioni pronte sono soltanto cinque su sei, mentre all’amata moglie argentina Ciquita, conosciuta a Parigi nel 1962, toccherà il riordino delle sue scritture e la cura delle pubblicazioni postume. Esther Judith Singer è una donna colta, conosce molte lingue e si è sempre occupata di traduzioni, il titolo per l’edizione inglese  delle lezioni Six Memos for the Next Millennium lo trova già nei manoscritti del marito, diverso è per il titolo dell’edizione italiana. La scelta ricadrà su Lezioni americane con il sottotitolo Sei proposte per il prossimo millennio, forse in omaggio alle geometrie esistenziali che il marito faceva diventare elaborazioni narrative di grande rigore creativo, la vedova sceglie ricordando un aneddoto di vita quando Pietro Citati, visitando lo scrittore nella sua casa maremmana di Roccamare, gli chiedeva “Come vanno le lezioni americane?” Lo spunto è felice per il titolo italiano del libro. Calvino si era appassionato al tema scelto, suggerire dei valori letterari da conservare nel prossimo millennio, aveva messo giù un fitto materiale di appunti per almeno otto lezioni, anche se al momento di partire per gli Stati Uniti le lezioni pronte erano cinque, la sesta lo scrittore immaginava di scriverla ad Harvard riferendosi a Bartleby di Hermann Melville. Il volumetto italiano, edito per la prima volta dalla Garzanti nel giugno 1988, nel solco del successo americano vende tantissimo, dopo un mese appena si arriva già alla quarta ristampa. Si tratta di un centinaio di pagine rivolte ai lettori, ma anche agli scrittori, una sorta di bussola letteraria per orientarsi in un mondo sempre più complesso da decifrare e da rappresentare. Cosa resta oggi, nel nuovo millennio, di queste lezioni? Sfogliando le pagine sembra quasi di scorgere lo sguardo riflessivo e arguto dell’autore, pronto ad accompagnarci in questo viaggio conoscitivo dove occorre dipanare la matassa complessa di un codice di valori utili allo scrivere e all’interpretare il mondo, individuando il nocciolo dei valori che lo scrittore proietta nella prospettiva del ventunesimo secolo. Calvino è consapevole che il suo millennio aveva individuato nel libro un oggetto-culto ma che si preannuncia un’era molto tecnologica, in ogni campo del sapere e del fare, elabora, allora, proposte che testimoniano la sua pratica della lingua e l’esperienza maturata nel suo dare forma ai libri, scegliendo leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità come valori da conferire in eredità al nuovo millennio. La sesta lezione, incompiuta e mai approntata, il cui titolo è consistency in base agli appunti ritrovati dalla moglie, doveva occuparsi della coerenza. Alla «perdita di forma» che investe non soltanto la letteratura, ma la vita nel suo insieme, lo scrittore ha l’urgenza intellettuale di proporre dei rimedi contro la sciatteria e l’approssimazione che sembrano contagiare ogni attività umana. Sceglie pertanto una serie di sostantivi femminili come valori che dovrebbero caratterizzare la scrittura e alimentare l’attenzione nella costruzione narrativa, in una stagione in cui la bellezza che risplende nell’essenziale sembra avere lasciato il posto alla degradazione stilistica. Il controveleno viene fuori dalla sua esperienza letteraria e giornalistica, guidato nel percorso da una costellazione di autori letterari, e non solo, a lui particolarmente cari, ma anche da un percorso formativo vario e stratificato o da occasioni di lavoro importanti come l’assunzione nel 1950 dalla casa editrice Einaudi, dove Calvino instaurerà rapporti professionali e relazioni amicali con personalità di spessore che alimentavano quella fucina di penna e di pensiero che era la realtà editoriale einaudiana. L’attualità della lezione calviniana si apprezza, in un crescendo di dispersione letteraria e di linguaggio, come argine agli eccessi comunicativi che avvelenano le acque nel pozzo del mondo librario ed editoriale contemporaneo. La leggerezza è il tema della prima lezione, Calvino richiama Milan Kundera, un autore che sulla leggerezza aveva molto riflettuto, infatti all’amara constatazione dell’Ineluttabile Pesantezza del Vivere e alla condizione di oppressione toccata al suo paese lo scrittore cecoslovacco punta sulla leggerezza come contraltare a questa condanna, anche esistenziale forse? per cui solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna: le qualità con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere. L’insegnamento dei classici è anch’esso ineludibile, dalla realtà fisica di Lucrezio con il suo De rerum natura dove la compattezza del mondo ha il suo mistero in ciò che è fatto di corpuscoli minuscoli e invisibili, alle Metamorfosi d’Ovidio dove la qualità e gli attributi che definiscono la diversità delle cose tra loro, piante, animali o persone, consentono alla sostanza comune di trasformarsi in altro. Sorprende, in quest’ultimo autore, la favola mitologica dove una donna si accorge che si sta trasformando in giuggiolo, oppure il racconto dove le dita di Aracne si allungano trasformandosi in esili zampe di ragno. L’ars poetica del resto non è altro che sottrazione di peso inutile alla parola per ricreare immagini di leggerezza, arrivando all’essenziale delle cose, un sublime esempio è nei versi di Guido Cavalcanti dove la sofferenza d’amore del poeta sembra stemperarsi in entità impalpabili e la ballata che sta scrivendo è un invito alla ballata stessa che dice:

Va tu, leggera e piana
dritt’a la donna mia

creando un movimento fluido che si fa vettore d’informazione alla donna amata. Una gravità senza peso la si ritrova nei sonetti di Shakespeare, o nei versi di Giacomo Leopardi che evoca, nonostante la felicità sia irraggiungibile, immagini di straordinaria dolcezza e pacatezza d’animo, quali uno stormir d’uccelli, la voce femminile che canta da una finestra, una luce lunare pronta a illuminare tutta la poesia o a proiettarvi l’ombra della sua assenza. Eppure la parola, anche dove si compie felice, per Calvino è un inseguimento perpetuo delle cose e alla domanda su cosa si porterà nel nuovo millennio, lo scrittore risponde quanto patrimonio letterario e poetico sapremo traghettare, le sue proposte vanno in questa direzione. Altra suggestione del narrare è la rapidità intesa come ritmo e come capacità di gestire il tempo narrativo, restringendolo e dilatandolo, in una successione di avvenimenti che catturano l’interesse, per una massima efficacia narrativa senza inutili orpelli e appesantimenti. Come accade per l’arte di Sherazade, che tiene vivo il desiderio dell’ascolto e nella narrazione, interrompendosi al momento giusto, un successo che altro non è che un segreto di ritmo, o come argomenta Leopardi nelle note dello Zibaldone sullo stile rapido e conciso che piace perché presenta all’anima una folla d’idee simultanee, così rapidamente succedentesi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiare l’anima in una tale abbondanza di pensieri, o immagini e sensazioni spirituali, ch’ella o non è capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, e priva di sensazioni. Oppure come sorprende la metafora del cavallo barbero per la velocità della mente, usata da Galilei nel Saggiatore come metodo di pensiero e come gusto letterario, o ancora l’apertura all’infinito di Jorge Luis Borges il cui periodare, senza alcuna congestione, anzi arioso e cristallino, restituisce un’espressine necessaria, densa e concisa insieme, unica e insostituibile. Ovviamente Calvino non pretende di escludere i valori contrari ai valori da lui suggeriti, ma confessa una forma di allergia verso l’uso approssimato del linguaggio, la slabbratura e sbadataggine linguistica che l’esercizio della scrittura può correggere, nella ricerca di un’appropriatezza espressiva che manca all’oralità. L’esattezza è un altra maniera per contrastare la peste del linguaggio che potrà/dovrà essere curata solo attraverso gli anticorpi della letteratura, un valore comune a Leopardi, poeta della bellezza dell’indeterminato, i cui versi sono esercizio di precisione dei propri sensi attivati per cogliere ogni più sottile sensazione, e a Paul Valéry che ha definito la poesia una tensione verso l’esattezza, soprattutto nella sua opera di critico e di saggista. Leonardo da Vinci, del resto, che si rappresentava “omo senza lettere” a causa dell’ignoranza del latino e della grammatica, pur artista eccelso nella pittura e nel disegno, nella maturità si è servito molto della scrittura per indagare il mondo nelle sue multiformi manifestazioni. Il genio di Anchiano, infatti, dismesso il pennello apprezza sempre più lo scrivere, pensa scrivendo e disegnando, annota parole e schizzi sui quaderni alla ricerca di una maggiore esattezza nell’interpretazione dei fenomeni della natura. La visibilità e la molteplicità sono invece valori che accendono l’immaginazione visiva e arricchiscono la narrazione. Calvino ricorda la sua esperienza di scrittura delle storie fantastiche, dove un’immagine mentale carica di significato sviluppa a sua volta una storia, e le immagini stesse di volta in volta sviluppano la loro potenzialità implicita, in un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni. Ecco allora che la mente del poeta funziona secondo un procedimento di associazioni d’immagini scegliendo tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile, in un processo più semplice quando l’immaginazione affonda nelle esperienze dirette dell’individuo e in un ridotto repertorio d’immagini riflesse dalla cultura. Ma cosa accade all’immaginazione individuale immersa in una “civiltà dell’immagine”? Una domanda pertinente in un momento storico, alla fine dello scorso millennio, dove l’individuo è bombardato da una quantità massiva di immagini, ancora di più oggi, dove la moltiplicazione dei   dispositivi tecnologici ci immerge continuamente in un mondo di immagini. La visibilità impone quindi un esercizio del proprio potere mentale di fermare, controllandola, una propria visione interiore, permettendo a un nucleo cristallino di figure mentali di assumere una forma “icastica”, lontana dal labile fantasticare o dall’appiattirsi in un fantasticare estraneo all’individuo, frutto di un immaginario manipolativo che sembra predominare, come accade per le immagini pubblicitarie. Il romanzo contemporaneo, intanto, può legittimamente aspirare alla rappresentazione del molteplice, un esempio è Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda con il suo stile linguistico variegato e accattivante, per un ingegnere prestato alla letteratura, che scrive mediando tra tensione razionale all’esattezza e deformazione caotica. Calvino di suo, grazie all’amore che nutre per l’ordine mentale e l’esattezza, fa una scelta di campo precisa non sottacendo la sua predilezione per Borges, abile maestro di razionalità e fantasia, nel racconto breve declinate con ineguagliabile perfezione, anche se la poetica mai prescrittiva, piuttosto invece problematica delle Lezioni porta il nostro autore a non negare il fascino dei romanzi che presentano una struttura complessa e combinatoria. Il suo esempio di “iper-romanzo” molto amato è La vie mode d’emploi di Georges Perec, dove le storie si intersecano (il sottotitolo è appunto Romans al plurale) riportando alla mente l’edificio complesso dei grandi cicli balzachiani. Insomma dalle six memos l’idea poetica e letteraria che viene fuori è forte di tradizione letteraria, di curiosità intellettuale e di un amore per la lettura, oltre che di costante esercizio di tutti i propri sensi messi a servizio della scrittura. Restano famosi i libri annotati nella immensa biblioteca di Calvino di circa ottomila volumi nella casa romana di Campo Marzio, mentre si fa largo il grande sogno della biblioteca di Babele di borgesiana memoria, o l’ambizione antica di radunare nella grande biblioteca di Alessandria tutte le opere fino allora scritte. In questo terzo millennio l’ambizione di ogni sapere letterario, semplicemente, avrà le spalle forti di tanto passato, mentre la produzione libraria e del sapere necessiterà di biblioteche che dovranno difendere il valore di ciò che è umanistico e librario, la loro essenza analogica e digitale, il loro essere piene di passato e di futuro.

2 pensieri riguardo “Cosa accade all’immaginazione individuale immersa in una civiltà dell’immagine

  1. Grazie.
    Certamente, le biblioteche sono ponti tra le generazioni, che vivono
    delle voci del passato e di quelle future, in un inesprimibile fascino d’immortalità.

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