Sono diventata la madre di mia madre

di Massimo Beccarelli

Andavo veloce con la mia bicicletta lungo il viale alberato. “Presto, presto, devo fare presto!”, stavo organizzando la mia giornata, sempre complicata ma non diversa da quella di tantissima altra gente.
Il vento tra i capelli, le foglie verdi, il profumo di primavera nell’aria e tanta, tantissima fretta. Dove andassi così di fretta adesso che ci penso, non ricordo più. Lucia, trentotto anni, un marito, tre figli, un cane e un criceto, “come se non bastasse il cane da gestire”, così mi ripeteva sempre mio marito. Stavamo organizzando le vacanze estive, pensavo fra me e me “quest’anno voglio fare delle vacanze in grande” perché, dopo i confinamenti, avevamo proprio voglia di evadere, volevamo vedere posti nuovi, gente nuova, immergerci nella folla e fare cose finora solo sognate, anche perché il tempo per noi non si trovava mai e bisognava ritagliarsi piccoli attimi per le nostre passioni, o almeno così era in teoria.
“Voglio andare al mare, alle otto del mattino, con l’aria fresca tanto agognata dalla sera prima, stare da sola sulla riva del mare, con le onde che mi accarezzano i piedi; io, la crema solare, l’asciugamano, un buon libro e il mio cappello di paglia che più grande è, meglio è, ma quel che era certo, è, che mi doveva nascondere o proteggere il viso dall’indiscrezione della gente per non mandare in confusione i miei pensieri. Io, con la mia spensieratezza e la mia gioia di vivere, ma che, tra un impegno e l’altro, tra una partita di calcio e dei panini da preparare, riuscivo appena a ricordarmi che ogni tanto dovevo dare da mangiare anche al criceto. In famiglia le giornate passavano frenetiche ma serene, finché non sono iniziati i problemi. Arrivò il mese di luglio. Mia mamma Elena, vedova, 65 anni, era stata ricoverata qualche mese in ospedale per due cadute rovinose a distanza di un anno l’una dall’altra con un setto nasale rotto una volta e un trauma cranico in seguito e, per finire, si era beccata anche la covid. Ormai stava cambiando tutto. Iniziai a capire che la situazione stava precipitando quando mi chiamarono dall’ospedale per dirmi che l’avevano dimessa. Noi non eravamo pronti per accoglierla, io non ero pronta. Le era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer. Non abbiamo avuto alternative. Stava arrivando a casa senza nessun preavviso: la mia vita perfetta iniziava ad avere qualche scossone. “Ricomincia di nuovo quel mal di testa allucinante, non riesco a respirare, mi sento soffocare; sento i pensieri affollarsi nella mia mente, non so cosa fare prima; resto immobile quando dovrei solo andare, con il cuore che vorrebbe uscire dal petto”.
Finalmente arrivò a casa, aveva lo sguardo perso, gli occhi lucidi, sbalorditi come quelli di una bambina. Sembrava mi vedesse per la prima volta, c’ero solo io ad accoglierla, perché mio marito Carlo era al lavoro. Cosa ne sarebbe stato della nostra vita e dei nostri sogni? E i ragazzi come l’avrebbero presa? Le giornate divennero lunghe e piene di insicurezze. Per lei non c’era più differenza tra il giorno e la notte, dal momento che li confondeva; aveva perso tutti i punti di riferimento. Non ricordava più chi ero. Aveva ricordi confusi; prima, di lei ragazza, e ora di lei bambina. Passava le notti a chiamare “Lucia! Lucia!”, ma grazie al cielo la casa grande ci consentiva almeno di dormire. Non riusciva più a fare niente. Era completamente nelle nostre mani, come una neonata. Era diversa questa situazione da quelle che mi aspettavo; “troppo presto, mi ripetevo, è una responsabilità troppo grande”. Più passavo tempo con lei e più mi rendevo conto che la mia mamma, come la conoscevo io, non c’era più. A volte faceva qualche discorso lucido e così ogni volta si riaccendeva in me la speranza che stesse meglio ma poi, dopo pochi minuti, si dimenticava e mi ritrovavo a ripetere sempre le stesse cose e a ricordarle chi era e chi eravamo noi. Appena arrivata da noi, ogni tanto scappava con il suo “pannolone a vista” e noi dovevamo rincorrerla. Adesso mi viene da ridere, ma non era così semplice farla desistere. Adesso che è bloccata in un letto, da quando non cammina più, vorrebbe andare via e tornare alla sua casa d’infanzia a trovare sua madre, che però è morta da un po’. I suoi discorsi sono confusi, senza senso, parla, ride, interagisce da sola, a volte anche con gente morta e la mia paura più grande è di impazzire. Passata la fase dei litigi con Carlo perché non sapevamo come fare per gestire questa situazione più grande di noi, adesso tutti si sono abituati ad averla in casa. Assecondiamo la sua “leggerezza”, i suoi discorsi. Diventa sempre più dura, ma la mia famiglia è più compatta di prima. Gestiamo meglio il nostro tempo, è vero, tra rinunce e sacrifici, ma diamo valore di più a ciò che conta veramente. Molti non capiranno le nostre scelte e tanti ci criticheranno, ma in cuor mio so che, da quando sono diventata la madre di mia madre, questa è l’unica strada percorribile, perché anche lei lo avrebbe fatto per me.

Commenta